GIULIANA CALABRESE - SOBRE EL TALLER DE TRADUCCIÓN DE LA ULL




ARTE-SANÍAS inaugura hoy otra sección. O más bien la reinaugura. O la rebautiza. El primer texto publicado en este blog fue un ensayo de Mario Domínguez Parra sobre el Taller de Traducción de la Universidad de La Laguna, un texto crítico que apareció en el apartado «Ensayos». Hoy damos continuidad al intercambio de ideas que quiso propiciar aquel primer texto, publicando en nuestras páginas, con la amable autorización de su autora, el original del notable artículo académico que la investigadora italiana Giuliana Calabrese dedica a ese mismo Taller (con cuya tesis fundamental, el valor didáctico --potencial-- de algunos aspectos de esa metodología de trabajo, el autor de esta nota coincide, al menos en su planteamiento teórico), y que ha aparecido, en traducción al castellano de Annarita Sorrentino y Jesús Díaz Armas, en el segundo número de la revista Piedra y Cielo, en su edición monográfica dedicada al profesor-poeta Andrés Sánchez. La nueva sección se llamará «Del taller artesano», y pretende recoger toda clase de materiales ilustrativos de las experiencias acumuladas por decenas y decenas de talleres de traducción en todo el mundo.
Sabemos que un Taller como el organizado por el profesor Sánchez desde 1995 no necesita de nuevos promotores. Aparte del importante número de publicaciones que ha generado (con traducciones de idiomas muy disímiles), si hay algo que ha sabido hacer con eficacia dicho grupo de trabajo –gracias, sobre todo, al universo de contactos editoriales y académicos de su iniciador y figura central—, es promoverse; aunque a veces, en esas estrategias de promoción, se eche de menos, en nuestro criterio, cierta humildad y cierto espíritu autocrítico. En cualquier caso, sería ilógico que inaugurásemos una sección como ésta sin volver a hablar de la experiencia pionera, en ese sentido, en el ámbito de Canarias. Por todo ello, deseamos aprovechar el acceso a algunos de los protagonistas de experiencias similares, relacionadas con la traducción colectiva, para, desde aquí, incitar a la comparación, contrastar ideas y métodos, debatir, dialogar, ejercer la crítica y mostrar, asimismo, las enormes ventajas de auto-enjuiciar lo que se hace.

Hemos querido encabezar la nueva sección con la foto de uno de los talleres de traducción, quizá, más emblemáticos del mundo (también objeto de algunos cuestionamientos): el que organiza regularmente el Premio Nobel de Literatura Günter Grass con sus traductores a varios idiomas. La foto en concreto fue tomada en marzo de 2011 en el Colegio Europeo de Traductores de Straelen (Alemania), donde se debatió sobre el que era entonces el nuevo libro de Grass: Grimms Wörter. Eine Liebeserklärung (Palabras de Grimm. Una declaración de amor), un inclasificable e intraducible compendio de autobiografía, recapitulación histórica y ensayo cultural, ordenado alfabéticamente, a partir de la fascinación de su autor por las palabras recogidas en el diccionario Grimm de la lengua alemana. A ese taller en específico, el autor de esta nota tuvo el privilegio de asistir como oyente, cuando era, por esas fechas, el Translator in Residence en el Colegio antes mencionado, decano de todas las casas de traductores europeas.

(El ensayo original de Calabrese se publicó en Enlaces. Studi dedicati a Mariarosa Scaramuzza, Milano, LED, 2012.)

José Aníbal Campos


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Il «Taller de Traducción Literaria»

 Un’alternativa per la didattica della traduzione poetica

 

Giuliana Calabrese

 

 

Dificultad no quiere decir imposibilidad. No se comprende que en el paso de una lengua a otra la poesía pierda más de lo que puede perder en la sola lectura en su misma lengua, pues leer es, inevitablemente, interpretar, y por tanto algo susceptible de contener errores y «pérdidas».

 

Andrés Sánchez Robayna

 

Il «Taller de Traducción Literaria»

 

La traduzione del testo poetico è uno dei processi più complicati e al contempo più affascinanti nell’ambito della traduzione. Sono frequenti le diatribe sulla possibilità o impossibilità di tradurre poesia, o addirittura, nelle posizioni più estreme della linguistica teorica o della critica tardo-romantica, sulla legittimità o meno di affrontare la traduzione di tale genere letterario. Nel 1975 con Dopo Babele, George Steiner «formalizza la prima, grande ribellione internazionale ai dogmatismi della linguistica teorica» (Buffoni 2004: 11): se tale scienza considera la traduzione soltanto come un processo di ricodifica dalla lingua di partenza alla lingua d’arrivo – negando di conseguenza la possibilità di tradurre la stratificazione delle lingue storiche (e, perciò, la possibilità di tradurre la poesia) –, Steiner istituisce la necessità da parte del traduttore letterario di rivivere l’atto creativo che aveva portato alla scrittura dell’originale. La traduzione, dunque, essendo un atto creativo rivissuto prima ancora di essere un esercizio formale, si afferma come vera e propria esperienza estetica.

La traduzione letteraria, e a maggior ragione quella poetica, non può essere intesa come sola riproduzione di un’opera, bensì va vista come processo di creazione di due testi letterari, entrambi in possesso di dignità artistica.

Ebbene, nel marasma teorico generato dalla spinosa questione della traduzione poetica (qui tracciato soltanto sommariamente, ma da anni ormai equipaggiato di un ben noto bagaglio bibliografico[1]) una vivida attività pratica si distingue per i suoi notevoli esiti e si tratta del Taller de Traducción Literaria dell’università de La Laguna (Tenerife).

Il Taller prende vita nel 1995 per iniziativa di Andrés Sánchez Robayna e si fonda sulla pratica di traduzione collettiva, messa in atto nel 1983 dai poeti francesi Bernard Noël e Rémy Hourcade. Spiega Sánchez Robayna a proposito della nascita del gruppo di traduzione:

 

El origen del origen de nuestro Taller es la invitación que en la primavera de 1995 recibí del Centre de Poésie et Traduction de la Abadía de Royaumont […] para traducir de manera colectiva mi libro Sobre una piedra extrema por parte de un grupo de poetas franceses. […] Pude en aquellos días de 1995 familiarizarme con el método de la traducción colectiva, sus ventajas y sus inconvenientes. Interesado como estaba desde mucho tiempo atrás por la práctica de la traducción, y con alguna experiencia en ella, decidí, de común acuerdo con algunos compañeros y amigos de la Universidad de La Laguna, constituir un pequeño grupo de trabajo centrado en el estudio y la práctica de la traducción, y que ensayase tanto la traducción individual como la colectiva recién aprendida en Royaumont. (Sánchez Robayna 2006: 2)

 

Come viene accennato nelle parole di Sánchez Robayna, il metodo della traduzione collettiva viene sviluppato e messo in pratica per la prima volta dal poeta francese Bernard Nöel nel 1983 presso il Centre Littéraire della Fondation Royaumont proprio con la finalità di tradurre e quindi permettere la lettura di poesia straniera[2].

La pratica della traduzione collettiva si svolge pressappoco come segue: il testo da tradurre viene presentato e contestualizzato entro la produzione letteraria del suo autore e della letteratura da cui proviene; in seguito, il testo viene letto con la massima attenzione, il numero di volte necessarie affinché ciascuno dei partecipanti possa comprenderne appieno tutte le sfumature di forma e significato e renderlo proprio; infine viene dato inizio al vero e proprio processo di traduzione, durante il quale i membri del gruppo suggeriscono, a turno, la loro proposta di traduzione di frasi o versi oppure intervengono sulle proposte avanzate dagli altri membri (deve trattarsi sempre di proposte o modifiche molto ben giustificate e mai appoggiate sul semplicistico giudizio del gusto personale). Nel caso in cui non ci si riesca ad accordare su due o più proposte traduttive ritenute valide, si procede a votazione.

Si può intuire subito che il procedimento sarà piuttosto lento (quando non vivacizzato da qualche scelta che vorrà prevalere sulle altre), ma sarà proprio la lentezza a garantire ottimi risultati e, in più, diventa connaturale anche al secondo processo messo in pratica nel corso degli anni dal Taller canario, quello della revisione collettiva[3]: anziché lavorare direttamente alla traduzione del testo, con il processo di revisione si lavora su una proposta di traduzione elaborata in precedenza da uno dei membri del gruppo.

Gli obiettivi del gruppo sono molteplici e tutti ammirevoli: innanzitutto, il lavoro concreto del laboratorio sfocia in prodotti culturali – ed editoriali – di notevole raffinatezza e valore estetico[4]. In secondo luogo, si promuove e facilita la riflessione accademica sul lavoro artigianale di traduzione – un sapere e una pratica multidisciplinari e olistici[5], come verrà specificato in seguito –, riflessione che riassume in sé parecchie questioni che contribuiscono a definire una sorta di morfologia della cultura contemporanea. Inoltre, anche se può sembrare banale sottolinearlo – ma sarà questo, come si vedrà, uno dei punti di forza di un laboratorio di tale genere – il Taller de Traducción insegna a lavorare in gruppo, creando una coscienza collettiva autodisciplinantesi e volta a raggiungere vette di creazione estetica concretamente apprezzabili e fruibili da un pubblico più vasto, che in questo modo potrà nutrirsi di letteratura e non solo di «versioni».

Durante il xxvii convegno dell’Associazione Ispanisti Italiani[6], alcuni tra i membri del Taller (Andrés Sánchez Robayna, Clara Curell Águila e Jesús Sebastián Díaz Armas) hanno potuto illustrare l’attività pratica del gruppo e stimolare gli uditori a percorrere il loro stesso cammino di riflessione teorica su un testo da tradurre[7].

A un livello più puramente letterario, la riflessione emersa è stata quella che vede il Taller impegnato a riprodurre nella lingua d’arrivo – ovvero in castigliano – il presente poetico e non la prospettiva poetica storiografica; per esempio: se l’originale è in rima, tale schema metrico non deve essere necessariamente riprodotto nel testo d’arrivo perché, così facendo, la traduzione in spagnolo risulterebbe anacronistica[8] e, di conseguenza, il presente poetico spagnolo non sarebbe rispettato.

A livello didattico, invece, che è quel che più interessa in queste pagine, ci si è concentrati sulle competenze necessarie per affrontare il lavoro traduttivo e si è addirittura proposto una sorta di decalogo per guidare l’attività del Taller.

In primo luogo, i membri del gruppo provengono da percorsi formativi differenti e ciò garantisce un buon risultato sia perché il testo da tradurre viene affrontato da approcci disciplinari diversi, sia perché le competenze necessarie alla traduzione sono molteplici ed è più facile che siano racchiuse in un gruppo di persone piuttosto che in un unico traduttore. Sono indispensabili, in particolare:

-  il conoscimento linguistico (della lingua di partenza e anche di quella di arrivo);

-  la capacità di analisi testuale e, soprattutto, molta esperienza di lettura dei testi poetici;

-  intuizione estetica, ovvero la sensibilità nel captare la bellezza dell’originale (Morales 2007: 112-117);

-  la capacità di creare buoni versi o, quantomeno, un certo grado di apertura alla competenza creativa.

La persona incaricata di guidare il gruppo, in secondo luogo, oltre a partecipare attivamente al lavoro, deve costantemente ricordare ai membri del taller alcuni principi utili al processo traduttivo:

-   non voler essere assolutamente fedeli al testo (ovvero, non privilegiare la traduzione letterale per timore reverenziale verso l’originale);

-   non spiegare il testo (aggiungendo o togliendo versi);

-   non cercare a tutti i costi di riprodurre il sistema metrico o consonante;

-   non propendere per la scelta di conferire al testo un’aria più antica di quella dell’originale, ovvero, cercare di non essere anacronistici;

-   rispettare il registro del testo di partenza;

-   cercare di riprodurre le figure retoriche;

-   rispettare la struttura formale (sonetto, ode…).

Ovviamente, man mano che il gruppo procede nel suo lavoro, sarà sempre meno necessaria la presenza di una guida-maestro perché sarà proprio il gruppo a ricondurre sempre sulla retta via e soprattutto, come viene sottolineato da Sánchez Robayna, a ricordare di procedere lentamente. Sempre di Sánchez Robayna sono le parole che seguono, a mio parere adatte a concludere questa prima parte più “letteraria” dello studio in atto in queste pagine:

 

Mi experiencia es que la traducción colectiva reduce los errores y las “desviaciones” naturales e inevitables de la traducción individual. El texto que resulta de la traducción colectiva es más objetivo, más equilibrado que el tradicional, más cercano al texto de partida, en la medida en que la suma de personalidades que observan los diferentes niveles (semántico, sintáctico, retórico, fónico, etc.) de ese texto va más allá de la mera individualidad. Existe, claro está, una “dinámica de grupo” y he notado que, llegado el momento, se puede llegar a producir una maravillosa sintonía en la interpretación y las propuestas concretas de traducción del texto. Ha habido para mí, en la traducción colectiva, momentos casi milagrosos de hallazgos verdaderamente impensables fuera del contexto de la sesión de trabajo. No creo que la traducción colectiva sea mejor que la individual, ni a la inversa. Sin embargo, atestiguo la extraordinaria fecundidad – no sólo en lo creativo, sino también en el plano didáctico – de la traducción colectiva, método que de hecho se está extendiendo en diversos centros de traducción de Europa y de América y que interesa cada vez más, según compruebo cada día, a poetas de uno y otro continente. (Rochel 1998: 63-67)

 

 

 

La proposta didattica della traduzione collettiva

 

Con il Taller de Traducción Literaria si è al cospetto, visti anche i notevoli risultati editoriali, di una proposta metodologica efficace per affrontare la traduzione poetica, e potrebbe rivelarsi anche come proposta innovativa entro la didattica della traduzione, innovativa sia perché il modello della traduzione collettiva non ha ancora tutta la risonanza che a mio parere meriterebbe, sia perché una certa forza innovatrice della pedagogia interamente concentrata sull’allievo ha ancora molta strada da percorrere.

Come spiega Nuria Pérez Vicente (2010: 35), riprendendo le parole del già menzionato Lefevere (1997), l’obiettivo dell’insegnamento della traduzione è quello di dotare il futuro traduttore di uno spirito critico che lo guidi nel corso della sua professione.

Nella didattica della traduzione [9], però, nonostante l’attività traduttiva sia ormai largamente considerata come un processo «cognitivo-comunicativo-culturale»[10] in cui si prevede la partecipazione attiva dell’alunno in tutte le fasi dell’attività, il panorama sembra ancora piuttosto ancorato a metodi di lavoro tradizionali e a una concezione dell’insegnamento unidirezionale in cui il docente trasmette le sue conoscenze e l’alunno le riceve, essendo quindi poco stimolato alla riflessione e a una rielaborazione personale di tali precetti.

È soltanto da pochi anni che parallelamente a tale modello si sono andati sviluppando alcuni tentativi di applicare alla didattica della traduzione una pedagogia imperniata sull’alunno; in tal modo, il modello didattico non si costruisce sulla trasmissione, bensì sulla costruzione congiunta di significati condivisi.

Ovviamente, questo modello potrebbe essere utile soprattutto a livello universitario (nell’ambito specialistico della formazione di traduttori letterari) oppure, come si evince dall’esempio concreto del Taller guidato da Andrés Sánchez Robayna, a livelli di formazione in cui la base di partenza è ancor più elevata, trattandosi in questo caso di docenti universitari, molti dei quali anche poeti.

La proposta metodologica di un Taller de Traducción Literaria potrebbe inscriversi proprio sulle nuove teorie della traduttologia vista come sapere interdisciplinare, allontanandosi soprattutto dal modello di «trasmissione da parte del docente – ricezione da parte del discente».

O meglio: un taller di questo tipo potrebbe avvalersi di un approccio didattico (sempre nell’ambito della didattica della traduzione) costruito su una base socio-costruttivista insieme a una umanista. Il socio-costruttivismo, fondandosi sulle teorie psicologiche cognitive, vede l’apprendimento come un processo di costruzione della conoscenza portato avanti dall’alunno stesso nella sua interazione con il contesto e con gli altri discenti. L’applicazione delle teorie socio-costruttiviste all’insegnamento della traduzione si deve in gran parte a Donald Kiraly (2000), che propone tali teorie elaborandole proprio nell’ambito concreto dei laboratori di traduzione collettiva. In questo modo, allontanandosi dall’unidirezionalità dell’informazione che parte dal docente e raggiunge l’alunno, l’attività traduttiva può modellarsi sulle necessità e caratteristiche dei singoli partecipanti al laboratorio, che quindi scandiscono il lavoro con il proprio ritmo.

Una simile proposta di lavoro è stata avanzata anche da La Rocca (2007), che propone proprio un laboratorio di traduzione per studenti universitari prendendo come modello il Constructivist workshop elaborato da Donald Kiraly. L’autrice, inoltre, apporta un approccio traduttologico incentrato sulla traduzione come attività comunicativa.

L’applicazione del modello costruttivista all’attività traduttiva viene illustrato anche da Rosa María Lazo e Monique Zachary (2008: 173-181), che prendono come esempio ancora una volta alcuni prolifici Talleres de Traducción, quelli della Pontificia Universidad de Chile approntati per i relativi corsi di traduzione.

Secondo Gordon Wells (1999) un approccio socio-costruttivista in ambito didattico si caratterizza proprio per l’aiuto fornito all’alunno nel raggiungere gli obiettivi di apprendimento posti dagli alunni stessi o assunti da costoro come propri lungo il processo di lavoro.

Entro la pedagogia umanistica – l’altro approccio psicologico applicabile a un Taller de Traducción – l’interesse è rivolto al mondo interiore del discente e all’importanza che costui attribuisce ai fattori affettivi ed emotivi durante il processo di sviluppo umano e durante lo stesso processo di insegnamento e apprendimento (Williams – Burden 1997). Le teorie educative derivanti da tale approccio, dunque, non vedono lo sviluppo affettivo come un processo indipendente da quello intellettuale, anzi, sono strettamente dipendenti l’uno dall’altro (Arnold 2000). Da tali punti di vista, la funzione principale attribuita all’istruzione è quella di concorrere all’autorealizzazione (Maslow 1971) dell’alunno come persona. Di conseguenza, vanno prese in considerazione proprio come strumento di lavoro le caratteristiche personali dell’alunno e le sue potenzialità individuali. In questo modo, la persona incaricata di gestire il gruppo di lavoro non avrebbe un ruolo dominante nella trasmissione del sapere, bensì si limiterebbe a guidare i partecipanti mentre costoro diventano i protagonisti del loro stesso processo di insegnamento e apprendimento. È proprio Abraham Maslow (1971) a riconoscere che, applicando alla didattica le teorie umanistiche, l’immagine del professore passa da quella di «professore-conferenziante» dispensatore di sapere a quella di «professore-guida» che aiuta il discente a scoprire le proprie potenzialità e a realizzarsi appieno[11].

In questo modo, gli alunni rivestono un ruolo di prim’ordine nel processo decisionale relativo all’attività didattica ma soprattutto al loro stesso apprendimento della traduzione; inoltre, si prendono in considerazione le differenze personali e se ne fa tesoro per sviluppare abilità, metodi e livelli di messa in pratica di tale disciplina in un ambito, quello della traduzione poetica, in cui il Taller de traducción sembra garantire risultati e progressi notevoli e degni di lode.


 

Riferimenti bibliografici

 

Arnold, Jane (ed.), La dimensión afectiva en el aprendizaje de idiomas, Cambridge, Cambridge University Press, 2000.

Baker, Mona, Translation studies, in M. Baker (ed.), Encyclopedia of translation studies, New York – London, Routledge, 2001, pp. 277-280.

Bassnett, Susan, La traduzione: teorie e pratica, a cura di D. Portolano, Milano, Bompiani, 20033.

Buffoni, Franco (a cura di), La traduzione del testo poetico, Milano, Marcos y Marcos, 2004.

De Julio, Maryann, Contemporary french poetry and translation, in K. M. Faull (ed.), Translation and culture, Lewisburg (PA), Bucknell University Press, 2004, pp. 151-159.

García López, Rosario, Cuestiones de traducción. Hacia una teoría particular de la traducción de textos literarios, Granada, Comares, 2000.

Kiraly, Donald, Towards a constructivist approach to translator education, «Quaderns Revista de Traducció», 6 (2001), pp. 50-53.

, A social constructivist approach to translator education. Empowerment from theory to practice, Manchester, St. Jerome, 2000.

, Think-Aloud Protocols and the Contruction of a Professional Translator Self-Concept, in Danks, J. H. (ed.), Cognitive processes in translation and interpreting, London, Sage, 1997, pp. 137-160.

, Pathways to translation: pedagogy and process, Kent State University Press, 1995.

La Rocca, Marcella, El taller de traducción. Una metodología didáctica integradora para la enseñanza universitaria de la traducción, Tesis doctoral dirigida por María González Davies, Universitat de Vic, 2007.

Lazo, Rosa María – Zachary, Monique, La enseñanza de la traducción centrada en el estudiante, «Onomázein», 17 (2008), pp. 173-181.

Lefevere, André, Traducción, reescritura y la manipulación del canon literario, Salamanca, Ediciones Colegio de España, 1997.

León, Francisco, Diez años de actividad del Taller de Traducción Literaria (1995-2005), «Can Mayor», 16 (2006), pp. 1; 24.

Maslow, Abraham, Verso una psicologia dell’essere, Roma, Ubaldini, 1971.

Morales, Carlos Javier, De Keats a Bonnefoy. Las posibilidades de la traducción en la poesía moderna, «Nueva Revista», 109 (2007), pp. 112-117.

Nergaard, Siri (a cura di), Teorie contemporanee della traduzione, Milano, Bompiani, 20073.

Pacte, La competencia traductora y su adquisición, «Quaderns. Revista de traducció», 6 (2001), pp. 39-45.

Pérez Vicente, Nuria, Traducción y contexto. Aproximación a un análisis crítico de traducciones con fines didácticos, Urbino, QuattroVenti, 2010.

Rochel, Guy, Poesía y traducción. Una conversación con Andrés Sánchez Robayna, «Cuadernos Hispanoamericanos», 576 (1998), pp. 63-76.

Sánchez Robayna, Andrés, Traducir. Esa práctica, in Doce, Jordi (ed.), Poesía en traducción, Madrid, Círculo de Bellas Artes, 2007, pp. 201-239.

, Acerca del “Taller de traducción literaria”, «Ínsula», 717 (2006), pp. 2-4.

Wells, Gordon, Dialogic Inquiry, Cambridge, Cambridge University Press, 1999.

Williams, Marion – Burden, Robert L., Psychology for Language Teachers. A social constructivist Approach, Cambridge University Press, 1997.



[1] A tal proposito si possono consultare i ricchi apparati bibliografici degli studi di Susan Bassnett, Traduzione. Teorie e pratica, Milano, Bompiani, 20033 e i preziosi contributi – e relative bibliografie – compresi nel capitolo «La traduzione da un punto di vista letterario-poetico» del famoso volume curato da Siri Nergaard (2007).
[2] Per approfondimenti sull’attività della Fontion Royaumont, oltre a consultare la pagina web della fondazione al seguente indirizzo, http://www.royaumont.com, si può leggere lo studio di De Julio (2004).
[3] «Fue en el caso de Diccionario de lugares comunes, de Flaubert, cuando decidimos poner en práctica la traducción revisada, es decir, la traducción realizada individualmente por un miembro del Taller y revisada luego colectivamente por el grupo; el excelente trabajo de base realizado por Fátima Sainz y Ángel Mollá en el Diccionario flaubertiano nos deparó inolvidables horas de placer y de largo aprendizaje» (cfr. Sánchez Robayna 2006: 2).
[4] Tra le più belle pubblicazioni antologiche del Taller si possono annoverare, per esempio, De Keats a Bonnefoy: versiones de poesía moderna. Diez años del Taller de Traducción Literaria, Valencia, Pre-Textos, 2006 e Ars poetica: versiones de poesía moderna. Quince años del Taller de Traducción Literaria, Valencia, Pre-Textos, 2011.
[5] PACTE 2001.
[6] Celebratosi a Forlì dal 23 al 26 maggio 2012 sotto il titolo Le ragioni del tradurre. Teorie e prassi traduttive tra Italia e mondo iberico.
[7] In particolare, la sessione di lavoro è stata progettata in due tempi: dapprima, i membri del Taller hanno avviato la comunicazione ripercorrendo la storia e gli obiettivi del loro gruppo; in seguito, per permettere una reale immersione nel metodo di lavoro del Taller de Traducción Literaria, è stata proposta – e guidata – la traduzione pratica della poesia di Giuseppe Ungaretti Recitativo di Palinuro nello stesso modo in cui sarebbe stata realizzata nel Taller de La Laguna.
[8] Cfr. Lefevere 1997.
[9] Nell’ambito traduttologico, dopo un primo restringimento del campo d’indagine grazie ai Translation Studies effettuati da James Holmes (The name and the nature of translation studies, in L. Venuti, ed., The translation studies reader, New York – London, Routledge, 1988, pp. 180-192) e la conquista di uno status autonomo, rispetto alla linguistica e agli studi letterari, della nuova disciplina che si andava formando, si è assistito a una proliferazione di teorie traduttologiche elaborate su diversi paradigmi linguistici o pragmatici (Cfr. Baker 2001). Negli ultimi anni, invece, si è passati dalla ricerca di una teoria generale della traduzione al concetto più prolifico di traduzione come sapere interdisciplinare. A tal proposito si possono consultare gli studi di Mary Snell-Hornby, della già menzionata Mona Baker, di Gideon Toury e di Margherita Ulrych, tra i primi a concepire la traduttologia con un approccio interdisciplinare o multidisciplinare.
[10] García López 2000: 86.
[11] Proprio nel seminario proposto durante il xxvii Convegno dell’Associazione Ispanisti Italiani, Andrés Sánchez Robayna ha spiegato che con il Taller de Traducción molti dei partecipanti si sono rivelati essere ottimi poeti quando, fino a prima di partecipare al laboratorio, non avevano mai preso in seria considerazione la poesia come forma di creazione artistica a loro congeniale.


De la foto: EÜK Straelen

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